domenica 23 settembre 2018

ROVAIOLO: COME ABITARE LE TERRE ABBANDONATE


ROVAIOLO: UNA CONVERSAZIONE DA PRATO SUI BORGHI ABBANDONATI



 Rovaiolo, un paese abbandonato negli anni Cinquanta, posto tra dove finisce l'Alta Valle Staffora e dove inizia la parte pavese della valle Trebbia , in Oltrepò:
Rovaiolo vecchio: una storia esemplare, che meriterebbe di essere raccontata in modo articolato. Rovaiolo: il posto giusto per trovarsi a confrontare opinioni sulle terre abbandonate e come riuscire a farle rivivere.

Rendere attrattive le aree interne dell'Appennino è l'orizzonte che si è dato il progetto Oltrepobiodiverso, in corso di realizzazione da parte di Fondazione Sviluppo Oltrepò dopo che ha vinto il bando AttivAree di Fondazione Cariplo.
Così sì è colta l'occasione delle giornate europee del patrimonio e della bella iniziativa della Sovraintendenza delle giornate di studio "Ascoltare il paesaggio", realizzate col sostegno del Comune del Brallo di Pregola e della Fondazione Sviluppo Oltrepò, per darci un appuntamento: nel pomeriggio di sabato 22 settembre, nel borgo abbandonato di Rovaiolo, sopra l'abitato del Brallo.

Pochi chilometri di strada asfaltata, la provinciale 186, poi si scende verso il greto del torrente Avagnone che saltella rapido verso la vicina confluenza con il Trebbia.
Si attraversa il fiume su un ponticello e ci si inerpica, una salita che attraversa la macchia boschiva e in una ventina di minuti, anche per chi ha il passo più lento, si arriva alle prime case di Rovaiolo.


Lì, in una radura, seduti su balle di fieno appena falciato, abbiamo pensato di organizzare una "conversazione da prato"  su ABITARE LE TERRE ABBANDONATE. STORIE, PROBLEMI, SCENARI. 
Moderatore Giorgio Boatti, consulente del progetto Oltrepobiodiverso e ideatore della Scuola di Narrazione Territoriale sorta all'interno del progetto stesso. Interventi affidati a Mario Ferraguti (scrittore), Andrea Membretti (sociologo), Luca Micotti (architetto), Silvia Passerini (architetto, fondatrice della rete del Ritorno), Paolo Repossi (scrittore).



Prima la visita all'abitato, guidati dalla soprintendente Renata Demartini,  e poi la "conversazione da prato". Non erano una ventina, i volonterosi saliti a Rovaiolo. Nè una trentina.
Sono stati molti di più: inaspettati. Una settantina di persone che prima hanno preso visione del borgo e poi hanno trovato posto nel prato. Contavamo, speranzosi, su una ventina di volenterosi, che, coraggiosamente, si inerpicassero sulla mulattiera e giungessero sino a Rovaiolo.


Abbiamo capito subito una cosa: che per abitare un luogo abbandonato la parola è fondamentale, per riannodare una narrazione comune che si è spezzata. Ancora prima, però,  deve venire il silenzio.
Un silenzio che è aleggiato su di noi, prima di iniziare.
Sentendo solo il vento che è scivolato giù dal bosco ed è passato ad accarezzare i tetti di pietra delle case. Tetti di, ciapa scura che comincia a cedere sotto il peso dell'abbandono e col muschio che avanza ad occupare gli interstizi tra una lastra e l'altra.
Silenzio dunque.
E poi gli interventi - veloci, densi, partecipi del luogo e del momento - di Mario e di Andrea, di Luca, di Silvia e di Paolo.
Speriamo di poterli sintetizzare qui, in forma sintetica, se ce li vorranno mandare nei prossimi giorni. E poi, gradita sorpresa, ecco che sul prato è spuntato anche il parroco di Colleri e del Brallo, don Massimiliano, che ha portato non solo la sua parola ma, anche un megafono (di quelli che si usano nelle processioni, ovviamente) affinché si sentisse meglio quello che si stava dicendo.

Tutto è stato come speravamo, nelle nostre migliori aspettative.
Con qualcosa in più: la conferma che le parole, e dunque le narrazioni, sono irrinunciabili per l'abitare di nuovo luoghi e territori lasciati abbandonati. Per ricucire assieme passato e futuro. Non per "rompere il silenzio". Ma per fargli compagnia, affidandogli nuove storie da portare via lungo le vallate e i crinali d'Appennino.


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