giovedì 26 marzo 2020

UNO SGUARDO SUL DOPO-EPIDEMIA ILLUMINERA' SULLE AZIONI DEL PRIMA

VALORIZZAZIONE TERRITORIALE
UNO SGUARDO SUL DOPO-EPIDEMIA
ILLUMINERA' SULLE AZIONI DEL PRIMA

Sarà lunga attraversare questa drammatica stagione ma, facendolo, apprenderemo non solo nuove modalità per il dopo, ridefinendo le priorità davvero essenziali. Anche quelle che riguardano, oltre alle nostre vite, comunità e territori.
Il virus obbliga anche a guardare ciò che è stato, le azioni intraprese nel recente passato. Ciò che perdura e, anzi, si rafforza perché va verso le priorità che si imporranno e quanto, invece, sarà duramente messo in discussione poiché modello devastante e sperperatore delle risorse ambientali e territoriali.
Da questo punto di vista anche chi sta operando nell'Appennino di Lombardia deve cominciare a riflettere, sul dopo e sul prima.
Chi sta lavorando al progetto OLTREPOBIODIVERSO, ad esempio, ha realizzato - tra le tante azioni intraprese nell'ambito del progetto pilotato da FONDAZIONE SVILUPPO OLTREPO' su bando ATTIVAREE di FONDAZIONE CARIPLO - la prima CARTA DEI CAMMINI DELL'APPENNINO DI LOMBARDIA. OLTREPO' PAVESE, in collaborazione col Touring Club Italiano.

In queste settimane avremmo dovuto presentare la CARTA DEI CAMMINI in diversi appuntamenti , così da condividerla con tutte le associazioni che hanno collaborato a realizzarla , con Comuni e operatori turistici, guide ambientali e ancora elencando.
Tutto è rinviato ma - ne sono certo - ci ritroveremo: impegnati a volorizzare i nostri territori e i cammini che li attraversano. Ci ritroveremo per ribadire attorno alla CARTA DEI CAMMINI e alla valorizzazione delle nostre comunità, dei nostri territori, del paesaggio dell'Appennino di Lombardia, l'impegno che ha mosso ogni azione di OLTREPOBIODIVERSO. Un progetto che soppesato alla luce di questa severa prova dimostra di essere stato incentrato su tematiche irrinunciabili. Anzi, fattesi ancora più urgenti e prioritarie.
Non tutti possono dire altrettanto.
Altri soggetti, per esempio, asserendo di valor valorizzare a modo loro l'immagine dell'Oltrepò, negli scorsi mesi hanno puntato in altre direzioni. Ad esempio operando per portare sulle nostre colline il campionato mondiale di moto enduro. 

Una scelta che non ci ha mai convinti e che, forse, dovrà essere ripensata in modo radicale alla luce di quanto stiamo sperimentando.
La dura prova che stiamo affrontando seleziona priorità.
Aiuta a distinguere anche tra le azioni del prima quali fossero efficaci, durevoli, nell'interesse comune e quali invece effimere. Dettate da interessi particolari.
Su queste tematiche è il tempo di riflettere e discernere. Perché, appunto, dopo questa dura stagione ci si rimetta in cammino. Nella direzione giusta.
(giorgio boatti)

lunedì 17 febbraio 2020

FARFALLE: IDEE PER UNA NARRAZIONE...

 RICOGNIZIONI NARRATIVE TRA FARFALLE E DINTORNI...


Per le sue suggestive ricognizioni tra "farfalle e dintorni" (comprese  rievocazioni di indimenticabili figure di amici delle farfalle***) Francesco Maria Cataluccio sarebbe la persona giusta da interpellare per un'adeguata narrazione che valorizzi e faccia conoscere ill "Giardino delle Farfalle" di Valverde, nato per iniziativa del progetto OltrepoBiodiverso (progetto pilotato da Fondazione Sviluppo Oltrepò e avviato su bando AttivAree di Fondazione Cariplo)
Qui potete godere la bellissima rievocazione, pubblicata da Francesco Matteo Cataluccio , sulla rivista "Riga",  intitolata "farfalle russe" ...







Francesco M. Cataluccio
Farfalle russe

Il mio amico Gario Z., straordinario poeta e traduttore di Mandelstam e di altri gioielli della letteratura russa, è tornato a vivere da alcuni anni a Mosca, dove ha trascorso la giovinezza (figlio di due co-munisti emiliani che lavoravano laggiù) e ha compiuto gli studi. Gario ha una delle maggiori raccolte di farfalle che conosca. Le raccoglie e le studia sin da bambino, tanto da esser diventato uno dei maggiori esperti in Russia. Si racconta che quando una spedizione sovietica scoprì tra i ghiacci siberiani una strana farfalla fossile e fu organizzato un consulto di esperti a Leningrado, tra di essi c'era il piccolo Gario. Nel 1982 scoprì un coleottero sconosciuto che, in suo onore, è stato chiamato Lathrobium Gario. Cosa c'entri questa passione per le farfalle con la letteratura russa (mentre con la poesia è fin troppo chiaro!) non saprei dirlo esattamente, ma, confesso, che Gario mi ha sempre fatto venire in mente Nabokov, uno degli scrittori che ho amato di più.
Con esche fatte di melassa e birra svaporata, un retino delicato e un barattolo col fondo d'ovatta imbevuta d'etere, Nabokov andò a caccia di farfalle tutta la vita. Una passione profonda, e anche un divertente modo per guadagnarsi il pane, in alcuni periodi. Nel 1941, trasferitosi da poco con la fami-glia negli Stati Uniti, ricevette dapprima l'incarico di riordinare la collezione di lepidotteri del Museo di Storia Naturale di New York e, l'anno successivo, dopo un incontro con il professor Nathaniel Banks, direttore del dipartimento di Entomologia del Museo di Zoologia Comparata di Harvard, ricevette l'incarico come «research fellow», sia pure a tempo parziale, presso quella Università, con l'in-carico di riordinare le collezioni esistenti:
«Io mi occupo delle mie ricerche e sono già più di due anni che pubblico brani di un lavoro sulla clas-sificazione delle liceni americane, basata sulla struttura dei genitali (minuscoli, scultorei gancetti, dentini, speroncini visibili soltanto al microscopio), di cui faccio uno schizzo per mezzo di diverse straordinarie apparecchiature, varianti della lanterna magica. [...] Il mio lavoro è inebriante, ma mi sta del tutto estenuando, mi sono rovinato la vista, porto occhiali con la montatura di corno: Sapere che l'organo che stai esaminando non è mai stato visto da nessuno prima di te, tracciare correlazioni che a nessuno prima di te erano venute in mente, immergersi nel meraviglioso mondo cristallino del micro-scopio, dove regna il silenzio, circoscritto dal proprio orizzonte, una bianca arena accecante - tutto questo e così seducente da non riuscire a descriverlo (in un certo senso, ne Il dono "predissi" il mio destino, questo rifugiarmi nell'entomologia)». Così, nel 1945, Nabokov descriveva il proprio lavoro in una lettera alla sorella Elena Sikorskaja. Un lavoro che aveva la divertente connotazione del «guardone».
Sin dall'adolescenza la letteratura e l'entomologia, in lui, si confusero e si sovrapposero, si chiarirono e si completarono a vicenda, nelle azioni e nella sua produzione artistica. Le farfalle si trovano in quasi tutti i libri di Nabokov. Ma forse in nessun altro punto, come nel secondo capitolo di Il dono, dedicato al padre del protagonista, famoso entomologo, lo scrittore russo trasmette con tanta chiarezza la sua passione.
Nabokov aveva sette anni quando iniziò a osservare e raccogliere lepidotteri. A dieci, durante la convalescenza da una malattia, la madre gli regalò alcune importanti opere sulla fauna lepidotterologica europea, trasformando le sue curiosità naturalistiche in un interesse sistematico e in una grande, e precoce, competenza.
Nelle sessantotto poesie, pubblicate in 500 copie numerate nel 1916, le farfalle fanno la loro compar-sa come funeste messaggere. Nel 1919, dopo esser fuggito dalla Russia con tutta la famiglia, si iscrisse all'Università di Cambridge: nell'indecisione su che indirizzo scegliere, frequentò contemporaneamente i corsi di biologia, letteratura francese e letteratura russa. L'anno successivo la rivista «The Entomologist» pubblicava un documentatissimo studio di Nabokov intitolato: A few notes on Crimean Lepidoptera.
L'acuto spirito di osservazione dello scrittore russo si affina con gli studi di biologia. Per la prima volta, Nabokov intuisce un legame tra le sue passioni. Lo dice in una poesia, pubblicata, nel 1923, in russo ma con il titolo inglese di Biology:

La Musa non mi accusa: nella scienza dei palpiti della vita tutto è bellezza [...].
Seziono, sminuzzo, penetro; vedo i muscoli nascosti,
i rami di vene innumeri
e ciò che vedo, con gessetti colorati, riporto sulla lavagna scrupoloso.

Nabokov diviene un «cacciatore» anche in letteratura, attira nella sua rete così come le farfalle colorate lo catturano e si fanno catturare: «Ciò che davvero conta in letteratura è zamanstvo, vale a dire la capacità che l'oggetto letterario ha di incantare, di sedurre a sé il proprio lettore, di catturarlo all'interno dei labirinti del processo stesso della scrittura». Nel momento in cui si apprestava a esordire nel campo della prosa, aveva compreso che «nell'arte, come nella scienza pura, il particolare è tutto». Le vicende umane vanno colte e raccontate con la stessa attenzione alle infinite, piccole, differenze, alla intensità delle sfumature, che permette di scoprire nuove farfalle. Ma questi evanescenti esseri svolazzanti, e le loro abitudini e comportamenti, possono essere anche usate come metafore dell'esistenza umana («la metafora è la passerella di bambù tra la poesia e la prosa»), prestandosi come pochi altri oggetti o animali agli «arabeschi della composizione letteraria».
L'elemento autobiografico, sempre presente nelle opere di Nabokov, accentua la presenza dei lepidotteri in racconti come The Aurelian e Christmas, nel poema On Discovering a Butterfly (dove si cantano le lodi della Lycaeides sarnuelis da lui stesso descritta), nei romanzi Il dono, Fuoco pallido, Ada, Una cronaca familiare e, naturalmente, l'autobiografia Parla, ricordo.
Durante gli anni '40 Nabokov si dedicò quasi esclusivamente ai lepidotteri. Divenne uno dei massimi specialisti dei Licenidi neartici e di quelli neotropicali. Da una lettura delle sue pubblicazioni scientifiche, complessivamente una quindicina, si evince uno spirito sistematico che lo porta ad analizzare, come abbiamo letto anche in una lettera alla sorella, soprattutto gli organi genitali delle farfalle, ai quali attribuiva un'importanza primaria per l'identificazione e lo studio delle parentele fra le specie.
A Nabokov si debbono la scoperta di molte nuove farfalle. In suo onore furono battezzate «nabokovy» quattro farfalle: «Ho descritto molte nuove farfalle americane, ma soltanto una asiatica e una europea (l'Alpes Maritimes, che io stesso ho catturato nel 1938, a Moulinet). E ci sono, inoltre, quattro nabokovy, così battezzate da altri, tra le quali mi è particolarmente cara la Euptychia nabokovy, una minu-scola farfalla della famiglia dei geometridi, che ho catturato a una grande altitudine (9.000 piedi - cioè circa tremila metri) sulle montagne dello Utath, le Wasatch Mountains». In particolare, va segnalata una «farfalla marrone», scoperta da lui nel 1943 e chiamata, nella letteratura scientifica, Nabokov's Nymph: quasi una svolazzante anticipazione di Lolita.
Quando, negli anni '50, Nabokov abbandonò il Museo di Zoologia e si dedicò all'insegnamento della letteratura, le farfalle entrarono anche lì: «Nel mio corso di letteratura cerco di identificare la farfalla notturna che volteggia intorno a una lampada nella scena del bordello nell'Ulisse. E ci sono tre farfalle in Madame Bovary, una nera, una gialla e una bianca». Ma la scoperta più sensazionale di Nabokov è quella che la farfallina nel trittico di Bosch Il giardino delle delizie è un esemplare femminile della specie, comune in Europa, denominata Manila jurtina, «classificata da Linneo 250 anni dopo che il nostro pittore l'acchiappò col suo copricapo in un prato fiammingo per collocarla nel suo Inferno...».

TERRITORI FUTURI, SE NON QUI, DOVE?


TERRITORI FUTURI, SE NON QUI, DOVE?
mettete in agenda: martedì 3 dicembre alle 17, al Salone Teresiano dell'università di pavia.si parla di due libri focalizzati sulle "aree interne" e sui territori futuri, quelli che, da noi, devono vedere l'alleanza tra Milano e le sue aree interne, a cominciare dall'Appennino di Lombardia, l'Oltrepò...

domenica 14 luglio 2019

LA STORIA DEL SOLDATO JONES E L'EFFETTO SAN MATTEO





Andare per luoghi è inciampare in storie che chiedono di essere raccontate. E ogni  territorio è lo scrigno che le contiene.
Per trovarne una, imprevedibile, basta ad esempio farsi una bicicletta oltre il ponte di barche di Bereguardo, superare Parasacco e addentrarsi in quel mosaico di campi, boschi e corsi d'acqua che compongono la valle del Ticino sotto Borgo San Siro.
Pedalando si scivola accanto a campi coltivati a perdita d'occhio - verde smeraldino le risaie. Dorate le distese di grano ormai ben maturo. 
E nello scuro del bosco trilli, fischi, gorgheggi, cinguettii. Compongono una partitura in stereofonia da far concorrenza a Mozart.
La strada - tre macchine incontrate in due ore - procede da una cascina all'altra, la Magnona e la Beccaria, la Torricella e la Durazzina, tutte silenziose.
Porte chiuse. Finestre sbarrate. Disabitate. 
A cavallo della roggia Castellana c'è, da secoli, la cascina dei Mulini.  Dietro sta la cascina Vignazza. E qui due lapidi, apposte da quei benemeriti del Comune di San Siro, porgono una storia che meriterebbe un romanzo, un film.
A Vignazza, nel 1943, seconda guerra mondiale, c'era un "Kriegsgefangenen", un campo di prigionia per soldati inglesi catturati dai tedeschi. Un centinaio e nell'estate aiutano le mondine in risaia, i braccianti (gli "obbligati" nel dialetto locale) nel lavoro dei campi. Finita la giornata dormono nel vecchio deposito che della cascina ormai deserta.  
Desmond Jones è uno dei prigionieri inglesi. Partite le mondine, finita la stagione del  riso, Desmond decide che è tempo di partire.
Fugge.
Lascia al comandante tedesco una lettera in cui si scusa ma, spiega,  deve proprio accomiatarsi dal "Kriegsgefangenen". Urgentemente.
E' atteso da Edith, la sua fidanzata che l'aspetta in Inghilterra. Le ha promesso di sposarla entro l'anno. Una promessa è una promessa e va mantenuta, parola di soldato.
In sessanta giorni - camminando per sentieri fuori mano, dormendo la notte - attraversa a piedi tutta la penisola, seguendo la linea degli appennini.
Viene rifocillato dagli abitanti di quella povera Italia in guerra ma che, nella sua gente, non rinuncia ad avere cuore. Anche verso il nemico.  Poiché conosce ancora la misericordia e le sue opere - sfamare l'affamato, accogliere lo straniero, per esempio.
Il soldato Jones arriva a dicembre sulla linea del Volturno, allo schieramento alleato. Prima che l'anno finisca i suoi generali lo spediscono in Inghilterra, a mantenere la promessa fatta a Edith.
Finita la guerra Desmond Jones costituirà l'Escape Club che riunisce tutti i soldati inglesi fatti prigionieri durante la "campagna d'Italia" e che sono riusciti a scappare. Sopravvivendo alla fame, al freddo, grazie all'aiuto della popolazione locale. Prima di morire viene a Borgo San Siro, per rivedere la cascina Vignazza e per ringraziare. Per ricordare a tutti di non dimenticare mai di essere umani.

Altri tempi? Forse. Ma stanno dentro una storia che è nostra e continua a snodarsi. Perché - vedete - quella cascina Vignazza che ce la porge, appartiene, come tutte quelle cascine abbandonate e in rovina che l'attorniano, all'Ospitale San Matteo fondato, 570 anni fa, da fra' Domenico da Catalogna.
Derivano da una donazione all'ospedale di qualcosa  come 11.000 pertiche effettuata da parte dei coniugi Beccaria, proprietari di quel feudo.  Un dono che consente al San Matteo di crescere, di volare sulle ali dell'"effetto san Matteo".
Per chi non lo sapesse l' "effetto san Matteo" è un paradigma ben conosciuto dagli scienziati sociali. Come ha spiegato il  sociologo Robert K. Merton consiste nel fatto che chi è beneficiato da consistenti vantaggi iniziali è destinato ad  incrementarli e in modo significativo.
L'"effetto san Matteo" funziona però anche al contrario. Proprio come afferma la pagina del vangelo di Matteo da cui scaturisce: "A chiunque ha, sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha".
Forse è tempo che Pavia, le sue comunità territoriali, e anche il venerabile Ospitale San Matteo, ora approdato al 2019, facciano un pensierino per capire a che punto sono quanto ad "effetto San Matteo".
Meritano ancora la sovrabbondanza?
O  toccherà loro la penuria che colpisce chi, non sapendo di avere e molto, alla fine non avrà più nulla?
Siamo consapevoli tutti che il San Matteo quanto a cura e ricerca è un riferimento fondamentale.  
Inoltre è la più vasta azienda provinciale per fatturato e dipendenti. Ma forse è meglio non dimenticare che è altro ancora.
E' uno scrigno irrinunciabile di memorie comuni.
E' un serbatoio inesauribile di storie, sbocciate dentro e fuori i suoi reparti.
Tutte significative nel fare di questa comunità quella che è. E che forse sarà.  
Per questo sarebbe tempo di valorizzarle e di raccoglierle, a cominciare dalle testimonianze e dai ricordi di chi ci ha lavorato per un'intera vita.  
Un impegno ampio e di lungo termine, certo.
Da far confluire in un ARCHIVIO DELLA MEMORIA E DELLA NARRAZIONE che faccia capo all'OSPEDALE SAN MATTEO e che sappia dialogare - sul passato, ma anche sul presente e sul futuro - con tutta la sua comunità territoriale di riferimento.
Un ARCHIVIO DELLA MEMORIA E DELLA NARRAZIONE DEL SAN MATTEO: un adempimento che sia anche un passaggio di consegne tra generazioni. E un farsi carico della memoria delle persone e dei luoghi che scandiscono una storia secolare.
Rinunciarvi significherebbe lasciare che l'amnesia prevalga.
Portando alla malora non solo cascine ma memorie e storie.  
Come quella del soldato Jones, ad esempio.
Custodita tra le vecchie mura della Vignazza e lo scorrere della roggia Castellana.




lunedì 27 maggio 2019

ANDAR PER TERRITORI: 10 istruzioni per narrarli


ANDAR PER TERRITORI: 10 ISTRUZIONI PER NARRARLI

di Paolo Patanè

(coautore con Monica Torri di "Gite fuoriporta nei dintorni di Milano Nord. 40 itinerari", ediciclo, maggio 2019)






Cosa significa narrare un territorio? Rispondere a questa domanda è l'obiettivo della SNT (Scuola di Narrazione Territoriale sorta, lo scorso anno, dal progetto OltrepoBiodiverso sviluppato -nell'ambito dell'azione AttivAree di Fondazione Cariplo - dalla Fondazione Sviluppo Oltrepò). 
Narrare un territorio ha molte risposte e, spesso,  le diverse soluzioni prendono forma in modalità concrete sulle quali questo blog - incrocio di esperienze di narrazioni ed azioni di sviluppo territoriale - non può non soffermarsi. 
Un interlocutore della SNT è stato, in questi giorni, Paolo Patanè, coautore con Monica Torri di "Gite fuoriporta nei dintorni di Milano Nord. 40 Itinerari, appena pubblicato da ediciclo. 
Paolo è laureato in lettere, giornalista free-lance e da molti anni opera nell'editoria turistica collaborando alla realizzazione di molteplici guide. Camminatore e ciclista è titolare di un'agenzia di servizi editoriali. E' già al lavoro sulla prossima guida che suggerirà "gite fuori porta" questa volta a sud di Milano. E, assicura, l'Appennino di Lombardia, dunque il nostro Oltrepò, non mancherà di fare, più volte, capolino tra le mete suggerite. 
Naturale dunque chiedere a Paolo qualcosa del suo metodo di lavoro.  Ovvero - abbiamo gli abbiamo domandato  - è possibile sintetizzare, per i nostri lettori, alcuni consigli per andare alla scoperta e narrare itinerari? 
ci proviamo?




"Volentieri.  Quelli che seguono sono alcuni semplici suggerimenti, niente di più. Qualche piccolo trucco del mestiere, appreso dopo tanto girovagare. Spero vi possa essere utile. Nella profonda convinzione che non serve andare lontano per scoprire la bellezza. Ecco dunque, in 10 punti, le istruzioni per narrar itinerari. 

Andarci da soli. Nella mia esperienza, per andare alla scoperta di un territorio credo sia meglio muoversi da soli. Per potersi fermare, osservare, tornare, divagare, senza condizionamenti, senza distrazioni. Per potere sentire i profumi, ascoltare lo scorrere delle acque, il canto dei grilli, lo scricchiolio delle foglie sotto le scarpe.
Per fermarsi, quando si ha voglia di farlo, per poi rimettersi in cammino. Per decidere quando si vuole cambiare direzione. Per non perdersi i dettagli, i particolari, spesso così nascosti ma così preziosi… Poi è bello tornarci in compagnia, con gli amici, con un gruppo, con la famiglia, ma quella è un’altra cosa. 

Lenti, senza fretta. Muovetevi con lentezza. A piedi o in bicicletta. Ogni tanto abbandonate i sentieri principali, lasciate le vie più battute per quelle secondarie, seguite le divagazioni che vi si presentano lungo il percorso. Lasciatevi guidare da curiosità e istinto. Non datevi tabelle di marcia e orari troppo rigidi, troppo vincolanti. Rallentate e mettetevi in ascolto. Se dovete raccontare un territorio, lasciate che sia lui a parlare. 

Gli incontri.Parlate con le persone, ascoltate i loro racconti, seguite le loro indicazioni. Più ci si allontana dalle città, più le persone hanno voglia e tempo per raccontare. Osti, contadini, monaci, viandanti, bambini, anziani. Le loro storie sono preziose. Sono tesori che non si trovano in nessun libro.Storie antiche, storie di vite, lontane o recenti. Spesso sono questi racconti che, a distanza di tempo, ci rimangono più impressi.
E fatevi dare indicazioni e consigli da chi in quei luoghi vive. Scoprirete cose che non si trovano sulle guide. 

Luoghi insoliti. Cercate i luoghi insoliti, i posti nascosti, magari difficilmente accessibili. Cercate cascine o piccoli borghi abbandonati, pievi, antichi opifici, rogge, conche, percorsi nascosti e sentieri poco battuti... Le alternanze di popoli e dominatori che si sono succeduti nelle nostre montagne, valli e pianure hanno lasciato, stratificati nel tempo, tanti segni.
Quante cose si possono leggere, ad esempio, in un piccolo cimitero di campagna? I volti, i nomi, le guerre, la Resistenza… Per fare un esempio, il cimitero di Crespi d’Adda, con il suo mausoleo costruito da Moretti, lo stesso progettista della vicina centrale Taccani, ci parla di architetture eclettiche, di archeologia industriale, di rapporto stretto tra architettura e ambiente. Le lapidi dei capi officina, con epitaffi in cui si celebrano le virtù e l’operosità del defunto, sono un forte richiamo ai valori su cui Crespi fu fondata. E la grande distesa di piccole croci bianche testimonia quanto fosse spaventosamente alta, meno di un secolo fa la mortalità infantile. 



Le cartine geografiche. Usatele, e anche più di una. Smartphone e App sono oramai insostituibili per orientarci e per tracciare i nostri percorsi. E spesso il tracciato gps è fondamentale per tracciare e poi ricostruire i nostri percorsi, anche a distanza di tempo. Sempre più spesso le tracce vengono rese scaricabili su Web, divenendo uno strumento prezioso per chi vuole orientarsi. Le cartine, però, sono un’altra cosa.

 Che piacere trovare su una vecchia cartina le annotazioni fatte qualche anno prima. 
Le cartine servono a programmare, a immaginare, a ricordare. Scrive Paolo Rumiz in Morimondo: “So dall’adolescenza che le mappe giuste non servono a orientarsi ma a sognare percorsi, e magari a ricordarli ad avventura conclusa”. E poi disegnatevele da voi, anche qualche semplice schizzo, con qualche annotazione, vi saranno utili a ricordare, a ripercorrere. Tutto torna utile.

I toponimi. Che ricchezza i toponimi italiani. Alcuni derivano da nomi che risalgono ai Celti, ai Romani, ai Longobardi. Molti sono essi stessi storie, tracce, e spesso le loro origini sono incerte, ipotetiche. Talvolta si rifanno ad antiche comunità, a luoghi scomparsi, a santi locali e misconosciuti. Cercateli sulle mappe, cercatene le origini, costruite una rete di collegamenti con altri toponimi simili. Che significa ad esempio Borgoratto Mormorolo, o Ruino? E quanta storia c’è in una Cicognola, Varzi? E vi siete mai chiesti che origine ha il nome Golferenzo, Volpara o - sempre per rimanere sull'Appennino di Lombardia - Bosmenso
o Bognassi? Toponimi, solitamente forniscono ottimi spunti, punti di partenza per una narrazione.

Fotografie, tante. Anche se pensate di non essere bravi, fate tante fotografie. Fotografare vi consente di osservare il paesaggio in un modo diverso, con angolature e inquadrature più rigorose. La fotografia è un linguaggio diverso ma complementare a quello della scrittura. Le immagini tornano sempre utili, anche solo per ricordare a distanza di tempo. E poi avere un buon archivio fotografico dei luoghi è importante, per articoli, presentazioni…. Con gli strumenti di oggi e un po’ di passione qualche bello scatto è alla portata di tutti.

Da una storia, un racconto. La narrazione di un territorio può partire anche da una piccola storia, un episodio, un dettaglio. Lo sapevate per esempio che ne Il Quarto Stato, il celebre dipinto di Pelizza da Volpedo, l’uomo al centro della scena non era un bracciante? 

O meglio, nel quadro lo è, certo. Ma chi fece da modello per il pittore era un farmacista, socialista e garibaldino. E che ci faceva nel quadro? E cosa c’entra Volpedo con tutto questo? Beh ve l’ho detto, si inizia da un dettaglio e poi… 

La lingua. Impossibile parlarne qui di stili, registri linguistici o simili. Dipende da dove si scrive, per chi si scrive. Credo però siano importanti le buone letture. Quasi impossibile dare consigli. Dai racconti dei gran tourin poi la scelta è infinita. A me piacciono molto Calvino e Pavese. Nei loro racconti o romanzi il paesaggio è un elemento fondamentale, che sia descritto nei dettagli o solo tratteggiato. Ho letto con grande passione, tra autori più recenti, Walter Bonatti, Paolo Rumiz, Giorgio Boatti, Ermanno Rigatti.
Spero di avere imparato qualcosa da ognuno di loro.


E se non vi piace? 
E se un luogo non vi piace? 
Se non è quello che vi aspettavate, se non vi emoziona e non vi incuriosisce? 
Meglio lasciare perdere o raccontare con sincerità quello che vedete? Dipende dai casi. 
Ma meglio essere sinceri, che tanto chi legge lo capisce. 
Mi è stato commissionato un articolo su un parco che era davvero pessimo, forse non avrebbe nemmeno dovuto essere un parco, ma lo era. Beh, parlarne male non si poteva. 
Ho preferito essere sincero con il committente e non scrivere niente. E, allo stesso tempo, onesto con chi mi avrebbe letto.



giovedì 16 maggio 2019

Vie e cammini dell'Appennino di Lombardia: focus in Oltrepò



"Il futuro delle vie storiche dell'Appennino di Lombardia
nel boom dei cammini italiani: esperienze a confronto"





Questo il tema al centro del focus di sabato 13 aprile organizzato presso il salone comunale di Canneto Pavese dalla Scuola di Narrazione Territoriale del progetto Oltrepobiodiverso di Fondazione Sviluppo Oltrepò.
Un grazie va ad Antonella Tagliabue che ha coordinato il workshop che ha preso l'intera giornata ed ha visto la partecipazione di una sessantina di iscritti (appartenenti ad associazioni delle principali vie storiche che percorrono l'Oltrepò e la vicina pianura padana - via del Sale, degli Abati, di San Colombano, di San Michele, via Francigena; volontari del CAI, rappresentanti di associazioni ambientaliste, escursionistiche, micologiche; guide ambientali e turistiche; operatori della ristorazione e dell'ospitalità; amministratori locali; portavoce di Expedia, di GiteinLombardia, di Calyx e molti altri ancora).
Un grazie particolare a Simone Frignani, costruttore di sentieri ed ideatore del Cammino di San Benedetto, che nell'illustrare la sua realizzazione, ha indicato un modello quanto mai valido anche per il nostro operare.
Un modello - incentrato sulla partecipazione, sull'associazionismo e sul lavoro di squadra - che nel cuore della penisola, tra Umbria e Lazio, ha unito tanti soggetti verso un obiettivo comune, concretizzatosi in tangibili e positive ricadute sul territorio.
Qui di seguito  gli spunti offerti durante l'incontro da Simone Frignani, uno dei più emblematici ed autentici "costruttore di sentieri" operanti nel nostro Paese in questi anni. A Simone infatti si deve, oltre il sorgere di quel CAMMINO DI SAN BENEDETTO che costituisce un caso esemplare di valorizzazione territoriale attraverso le vie e i cammini storici, anche lo sviluppo di altri itinerari rilevanti.

Itinerari su cui Simone Frignani si sofferma nelle diverse  guide, tradotte anche in varie lingue, pubblicate negli ultimi anni. Gli spunti che qui offre emergono da un'intervista-chiacchierata con Giorgio Boatti.

gboatti - sono passati un po' di anni da quando, dopo esserci conosciuti al monastero benedettino di Santa Scolastica, dove io presentavo il mio libro "Sulle strade del silenzio. viaggio per monasteri d'italia e spaesati dintorni" e tu la tua guida sul cammino di San Benedetto, ti intervistavo per il "Venerdì" di Repubblica in un ampio reportage sui costruttori di sentieri. Da allora cosa è cambiato?

Simone - è successo che quel  Cammino di San Benedetto, progettato a tavolino e sperimentato ripetutamente, nato sull’onda della spontaneità e senza finanziamenti, è riuscito, in nemmeno 7 anni, ad affermarsi come uno dei Cammini più amati d’Italia e d’Europa.
Per questo credo sia utile ripercorrerepasso a passo la nascita e lo sviluppo del Cammino di San Benedetto, evidenziandone quegli elementi di successo che possono essere replicati anche su altri Cammini, senza dimenticare che la motivazione di chi se ne fa promotore e di chi accoglie la proposta è una chiave della riuscita del tutto.

gboatti - Benissimo. Rifacciamo dunque il tuo percorso di costruttore di cammini...

Simone - Dieci anni fa. 2009. In quell’anno partii per un Cammino solitario nel Centro Italia, sui luoghi di Francesco d’Assisi.
Ero mosso da una ricerca di spiritualità: per questo scelsi di dormire nei boschi privilegiando il silenzio e il “deserto” personale, pur con incontri significativi che furono parte integrante dell’esperienza.
Il Cammino mi cambiò profondamente: per questo decisi di dedicare tempo e risorse per la promozione del camminare in Italia.
Ebbi l’idea di creare un percorso che permettesse di conoscere un grande santo italiano, patrono d’Europa: San Benedetto da Norcia, figura di portata straordinaria. Purtroppo poco conosciuto, almeno  nei nostri tempi. Eppure è una figura fondamentale: Benedetto da Norcia racchiude in sé molti motivi d’interesse, capaci di attrarre persone con interessi diversi, non solo religiosi.
Il monachesimo secondo la Regola di san Benedetto, ebbe grande importanza per l’evangelizzazione, grazie alla testimonianza di vita cristiana dei monaci.
Dal punto di vista culturale, gli amanuensi trasmisero il sapere greco e latino; diedero grande impulso alle scienze mediche attraverso l’erboristeria; introdussero i caratteri di scrittura moderni e inventarono l’antecedente del rigo musicale, dando vita al canto gregoriano. Fondamentale fu anche l’opera sociale  e produttiva dei monaci, che bonificarono vasti territori, realizzarono scuole e ospedali all’interno dei monasteri, diedero un grande impulso all’agricoltura e all’economia.

DAL DIRE AL FARE

gboatti - Simone, non sono tra chi avrebbe potuto avere qualche dubbio sulla centralità di san Benedetto nella connotazione culturale della nostra civiltà. Però, poi, tu da queste alte considerazioni molto alte sei  sceso anche a terra, e, dal dire al fare, sei passato ai fatti. Ti sei confrontato col e sul territorio...

Simone - Infatti. Ho sviluppato il Cammino di San Benedetto su  300 km, in Umbria e nel Lazio, con lo scopo di far conoscere i tre principali luoghi benedettini: Norcia, Subiaco e Montecassino, insieme a tanti piccoli borghi tagliati fuori dal turismo di massa, fors’anche per questo capaci di attrarre il viaggiatore attento.
Norcia da dove il Cammino prende avvio, è un’incantevole cittadina ai piedi dei monti Sibillini, la cui fama non si limita ai soli amanti del trekking, ma incontra anche il favore dei naturalisti, grazie a un’eccezionale ricchezza di flora e fauna.

Purtroppo Norcia e i Sibil­lini sono stati colpiti nel 2016 da un devastante terremoto, dal quale stanno tentando di risollevarsi. Il Cammino può contribuire a questo, grazie a iniziative come il Cammino della Solidarietà, giunto quest’anno alla terza edizione, che nei giorni di Pasqua ha portato diverse centinaia di camminatori sulle prime tappe colpite dal sisma, per contribuire economicamente alla ripresa e tenere accesi i riflettori su queste zone. Seconda tappa è Cascia dove visse Santa Rita, la “Santa degli impossibili”; si prosegue per Monteleone di Spoleto, affascinante borgo medievale immerso in un paesaggio perfetto, e Leonessa, deliziosa cittadina ai piedi dei monti Reatini. Immersi in estese fag­gete, si scavalcano i monti Reatini per raggiungere Poggio Bustone, importante luogo francescano; e di lì si prosegue per l’incantevole “Valle Santa”. Da Rieti, città papale e francescana, risalendo il fiume Turano si toccano i borghi di Rocca Sinibalda e Castel di Tora, sul lago del Turano. Attraversando i monti Lucretili, si passa per Pozzaglia Sabina, Orvinio, Mandela,  luoghi dove si vive bene, a un passo da Roma.
Seguendo la valle dell’Aniene in una natura rigogliosa, si raggiunge  Subiaco, prima importante meta, luogo dove la spiritualità benedettina si fonde con una storia antica, arte, cultura, e la natura sorprendente dei monti Simbruini.
Entrando in Ciociaria, si fa tappa a Trevi nel Lazio, in incantevole posizione ai piedi di una corona di montagne; proseguendo per i monti Ernici, si toccheranno i borghi medievali di Guarcino, Vico nel Lazio, Collepardo, e la splendida Certosa di Trisulti.
Dopo aver visitato l’Abbazia di Casamari, splendido esempio di gotico cistercense, si fa tappa ad  Arpino, con un delizioso centro storico e una magnifica acropoli. Si attraversano le Gole del Melfa dove nidificano le aquile, per raggiungere Roccasecca patria di san Tom­maso d’Aquino.
Tappa finale è l’Abbazia di Montecassino: questo luogo, che più di ogni altro ha contribuito alla diffusione del messaggio benedettino e alla nascita di una comune cultura europea fondata sul cristianesimo, non può che essere la degna conclusione di un Cammino che, attraversando tutto il Centro Italia, porta a conoscere la vita e le opere di san Benedetto, insieme ad arte, cultura, storia di una parte, bella e poco conosciuta, del “Bel Paese”.

gboatti - già questa sintesi fa capire che il Cammino di Sab Benedetto è ben di più di un validissimo percorso escursionistico. Porta in sè una narrazione, che attinge a una storia ed a una cultura plurisecorale, formidabile. Visto che sei ospite di una SCUOLA DI NARRAZIONE TERRITORIALE  vorrei che ci soffermassimo proprio su questo. Sulla visione, la narrazione che il Cammino porta in sé e con la quale attrae...

MOLTO PIU' DI UN TREKKING

Simone .- Sì, il Camminio di San Benedetto è MOLTO PIU’ DI UN TREKKING. Il Cammino di San Benedetto racchiude più cose insieme, in particolare:
-  Spiritualità: un Cammino che ben si presta a un’esperienza spirituale di meditazione e silenzio, e che può favorire la crescita nella fede.
-  Arte, storia e cultura: ogni tappa del Cammino di San Benedetto è ricca in testimonianze storiche e artistiche, con molti spunti culturali.
-  Borghi e tradizioni: ciascun borgo del Cammino di San Benedetto è interessante non solo sotto il profilo artistico o culturale, ma anche per il ricco patrimonio di tradizioni custodite.
-  Ospitalità: Lo spirito accogliente degli abitanti dei piccoli paesi toccati è un importante plusvalore, che permette lo stabilirsi di legami e fa sì che le persone ritornino.
Si capisce pertanto come il Cammino possa accendere interesse notevole in  persone con connotazioni diverse ed aspettative non solo spirituali o religiose.

LA REALIZZAZIONE DEL CAMMINO, PASSO DOPO PASSO

gboatti - Ora puoi spiegare come hai operato per la REALIZZAZIONE DEL CAMMINO DI SAN BENEDETTO. Avevi un'idea ma sul terreno non c'era nulla...

Simone - Sono partito dall’idea di collegare i tre principali luoghi della vita di San Benedetto (Norcia, Subiaco, Montecassino).  Secondo il II libro de I Dialoghi di san Gregorio Magno), il percorso è stato tracciato negli anni 2009-2011, in tre momenti:
2009-2011 STUDIO DEL PERCORSO E PRIME ADESIONI Sono partito da un’accurata ricerca cartografica sulla sentieristica esistente, combinando lo studio delle mappe alle foto satellitari, e prevedendo anche l’apertura di brevi sentieri di collegamento. Lo studio cartografico è andato di pari passo con le prove sul campo: numerose ricognizioni per testare la percorribilità dei sentieri, e prendere i primi contatti in loco così da definire la rete di accoglienze. In questo modo, durante i primi due anni, è andato definendosi il percorso e, sull’onda di un’adesione spontanea, si è venuta a creare l’“ossatura” di un’associazione per la cura e promozione del Cammino di San Benedetto.
2011 TRACCIATURA, ACCOGLIENZE E AMICI DEL CAMMINO Una volta stabilito il percorso, esso è stato interamente georeferenziato, e tracciato sul terreno con frecce gialle realizzate a pennello. 
E’ continuata la ricerca delle accoglienze, e grazie a un passaparola efficace, è cresciuto il numero di persone che si sono rese disponibili per contribuire a questo progetto con lavoro volontario.
2012 LANCIO Già dall’anno precedente, l’editore Terre di mezzo aveva mostrato l’intenzione di pubblicare una guida sul percorso che avevo ideato. Potei così pubblicare un libro-guida a maggio 2012. Contemporaneamente, realizzavo una credenziale insieme ai Cammini Di qui passò Francesco e Con le ali ai piedi; aprivo un sito internet e un gruppo Facebook. L’impatto mediatico fu buono anche se, come prevedibile per un nuovo Cammino, durante l’estate di quell’anno furono appena una cinquantina, le persone che decisero di partire. 
2012-2019 SVILUPPI Il Cammino di San Benedetto si è sviluppato in modo progressivo ed inaspettato, grazie a un formidabile passaparola di pellegrini entusiasti che, attraverso i canali social e i contatti diretti, se ne sono fatti portavoce. Nel corso dei suoi primi sette anni di vita, sono stati compiuti passi da gigante.

TAPPE NELLO SPAZIO, TAPPE NEL TEMPO

gboatti - Come ogni cammino anche il realizzarsi del Cammino di San Bendetto è stato scandito da tappe scandite nel tempo. Quali sono state le più rilevanti?

Simone -  queste le tappe più imporanti:
Nel 2014 nasceva l’associazione “Amici del Cammino di San Benedetto”, di cui entrarono a far parte persone residenti in loco che, in vario modo, decisero di mettersi gratuitamente a disposizione del progetto.
-  Nello stesso anno, una cordata di comuni laziali sul Cammino di San Benedetto aderì a un bando regionale per lo sviluppo turistico dei territori: ciò permise la realizzazione e installazione di una segnaletica verticale. Inoltre, la casa editrice austriaca Tyrolia traduceva e pubblicava la guida in lingua tedesca.
-  Fin da subito, l’associazione fu propensa ad aderire alle manifestazioni di settore, come “Fa’ la cosa giusta” che si tiene ogni anno a Milano, nel mese di marzo.
-  Nel 2016, per iniziativa dell’abbazia di Montecassino, veniva realizzato un “testimonium”, il documento di avvenuto pellegrinaggio.
-  Nel 2017, veniva realizzato un nuovo sito web, completamente rinnovato nella grafica e nei contenuti, grazie all’opera volontaria di un “Amico del Cammino”.
-  Nel 2018 la guida veniva tradotta e pubblicata in lingua inglese, sia in versione cartacea che in e-book. Nasceva inoltre a Seattle, negli USA, l’associazione American Pilgrims to Italy che da circa un anno distribuisce guida e credenziali negli Stati Uniti e in Canada
IL MOMENTO ASSOCIATIVO FA LA DIFFERENZA

gboatti - Ho l'impressione che il momento associativo abbia giocato un ruolo fondamentale nel successo di questa tua esperienza. Può dunque dire qualcosa sull'ASSOCIAZIONE AMICI DEL CAMMINO DI SAN BENEDETTO ?

Simone - Certo. Per gestire un flusso crescente di pellegrini, per mantenere e promuovere il Cammino, per tenere i contatti istituzionali e creare iniziative locali, nel febbraio 2014 è stata fondata l’associazione di promozione sociale senza scopo di lucro “Amici del Cammino di San Benedetto”.
In questi anni, sono state moltissime le attività intraprese dall’associazione: dal miglioramento del percorso all’installazione di una segnaletica dedicata, la cura dei rapporti con i pellegrini, l’invio delle credenziali, la gestione dei rapporti con il territorio e le istituzioni.
Figure-chiave dell’associazione sono gli Amici del Cammino: uno o più referenti per ciascuna tappa, ai quali il pellegrino può sempre fare riferimento in caso di necessità: ciò dà sicurezza ai pellegrini che sanno di poter contare su qualcuno che si prende cura di loro. Gli Amici del Cammino diventano veri e proprii "NARRATORI DI COMUNITA' ”. Un ruolo che la SCUOLA DI NARRAZIONE TERRITORIALE farebbe bene ad approfondire in uno dei suoi focus. Infatti solitamente gli Amici del Cammino accompagnano il pellegrino a visitare il proprio paese, introducendolo in quel ricco patrimonio di cultura e tradizioni custodito dai nostri piccoli borghi. 

CREDENZIALE E TESTIMONIUM

gboatti - avete istituito anche la Credenziale. E' stata una scelta importante mi pare...
Simone - Come per il Cammino di Santiago e per i maggiori Cammini italiani, anche il Cammino di San Benedetto ha una sua credenziale, documento che attesta lo status di pellegrino. Sulla credenziale si raccolgono i timbri dei luoghi di passaggio (di solito chiese, conventi e ospitalità) ed essa dà diritto a ricevere il documento di avvenuto pellegrinaggio una volta giunti a Montecassino. La credenziale permette inoltre di usufruire di prezzi convenzionati presso tutte le ospitalità commerciali, con sconti fino al 60%.
Oltre alla Credenziale abbiamo introdotto il Testimonium. E’ l’attestato di avvenuto pellegrinaggio alla tomba di san Benedetto, rilasciato dall’abbazia di Montecassino dietro presentazione della credenziale timbrata. A differenza della Via Francigena ed altri Cammini, per il Cammino di San Benedetto non è previsto un numero minimo di km per riceverlo, anche se normalmente chi la richiede ha percorso l’intero Cammino o almeno è partito da Subiaco.

LA SEGNALETICA FA IL BUON CAMMINO

gboatti - soffermiamoci su un tema cruciale per ogni buon cammino storico, la segnaletica..

Simone - Il Cammino di San Benedetto è interamente segnato per tutta la sua lunghezza di 300 km. La segnaletica è composta da:
-  Adesivi 10x10 cm, diversi per il percorso a piedi e per quello in bici.
-  Placchette in di-bond 10x15 cm con logo del Cammino e freccia direzionale.
-  Cartelli con freccia direzionale 55x25 cm montati su palo metallico di 3 m.
-  Pannelli 100x150 cm con sviluppo grafico del percorso e informazioni trilingue, installati nei paesi attraversati dal Cammino.
La segnaletica è stata in parte realizzata grazie a un finanziamento della Regione Lazio, in parte autofinanziata dall’associazione Amici del Cammino di San Benedetto.

OSPITALITA', PER TUTTI I GUSTI

gboatti -  avanzare lungo il cammino, va bene, ma poi il viandante cerca ospitalità adeguata. Come l'avete creata?

Simone - Le tipologie di alloggi sono varie, e vanno dalle ospitalità religiose (monasteri e conventi), alle ospitalità laiche a donativo e commerciali (b&b, agriturismi). Negli alloggi commerciali, si privilegiano sempre piccole strutture a conduzione familiare, che applicano prezzi convenzionati per i pellegrini (riportati nella guida).

EVENTI CHE SBOCCIANO SUL TERRITORIO

gboatti - siete riusciti a comunicare il Cammino in modo sempre più efficace. Comunicazione diffusa, sui media e sui social ma, anche, un gran dispiegarsi di eventi sbocciati sul territorio. Chi li realizza?

Simone - Moltissimi sono gli eventi promossi dall’associazione Amici del Cammino di San Benedetto, per promuovere il Cammino e perseguire le finalità da statuto. Tra gli eventi più significativi realizzati dal 2014 ad oggi, ricordiamo:
-  Coenobia Festival della Cultura Benedettina (2014): una due giorni ad Orvinio (Ri), con l’intervento di esperti di mondo e cultura benedettina (Regola, erboristeria, cucina monastica, scrittura amanuense…).
-  Italian Wonder Ways (2016): una settimana di educational sul Cammino, con blogger e giornalisti di riviste specializzate provenienti da tutto il mondo (in collaborazione con Regione Lazio).
-  Il Cammino della Solidarietà (2017-18-19): una tre giorni da Norcia (Pg) a Leonessa (Ri) sui luoghi colpiti dal terremoto del 2016, per portare un contributo solidale e tenere accesi i riflettori su queste zone. Ciascuna delle tre edizioni ha coinvolto oltre 200 partecipanti; le prime due edizioni hanno avuto il patrocinio del Mibact.
QUALI BENEFICI PER L’ITALIA MINORE

gboatti - E ora un tentativo di sguardo complessivo, sui benefici che un cammino storico, come quello di San Benedetto, può rappresentare per le aree interne, per quella che tu chiami, con affetto, l'Italia Minore?

Simone  - Quando parlo di “Italia minore” mi riferisco a piccoli borghi tagliati fuori dal turismo di massa, forse anche per questo capaci d’attrarre il viaggiatore attento. Dall’inaugurazione del Cammino a maggio 2012, sono sempre di più le persone che scelgono di seguire questo itinerario sulle orme del patrono d’Europa: nel 2018 si sono registrate 7.500 presenze, con una crescita che continua anche nei primi mesi del 2019 (+25% rispetto allo stesso periodo del 2018).
Inevitabile quindi che nascano nuove ospitalità: dal 2012 ad oggi esse sono raddoppiate, sia quelle commerciali che a donativo; si nota in particolare una crescita dei laici che mettono a disposizione a donativo una o più stanze della propria abitazione.
I benefici non sono soltanto economici: anche l’ambiente e i beni culturali se ne avvantaggiano. Attraverso un’importante opera di sensibilizzazione, il Cammino di San Benedetto ha permesso di salvare l’abbazia di Santa Maria del Piano a Orvinio (Ri), struttura del IX secolo che giaceva in stato d’abbandono; e il complesso di eremi benedettini e acquedotti romani di Vicovaro (Rm), recentemente messo in sicurezza e reso visitabile. Il Cammino sta svolgendo anche un’opera di sensibilizzazione verso le problematiche ambientali delle gole del Melfa, una splendida area naturale nei pressi di Roccasecca (Fr), dove scarseggia l’acqua a causa di una diga che riversa le acque del fiume Melfa nel fiume Rapido.

COMUNICAZIONE & STATISTICHE SUI PELLEGRINI DEL CAMMINO

gboatti - sul successo del Cammino ha influito una comunicazione, forse anche una narrazione e un  passa parola, che si è ampliata di anno in anno. Basta questo ad assicurare il successo di una via storica, di un cammino?

Simone - Il Cammino di San Benedetto ha sempre beneficiato di una buona comunicazione, a partire dal libro-guida e i canali social. Dal 2012, sono moltissimi gli articoli pubblicati sulla stampa: Corriere della Sera, Repubblica, Avvenire, Qui Touring e altre importanti testate hanno dedicato spazio al Cammino di San Benedetto. Col crescere della popolarità, anche la televisione se ne è occupata, con servizi andati in onda negli ultimi due anni sulla Rai (Geo, La Vita in Diretta, A Sua Immagine, Uno Mattina) e TV2000.
Tra l'altro col tempo conosciamo sempre meglio i pellegrini che si avviano sul cammino di San Benedetto
Nel mese di Gennaio 2019, l’editore Terre di mezzo ha lanciato un questionario attraverso i gruppi Facebook dei maggiori Cammini italiani, con lo scopo di tracciare l’identikit del pellegrino-tipo per ciascun Cammino. Per il Cammino di San Benedetto, l’adesione al questionario è stata imponente, con oltre 800 risposte pervenute. Tra i dati più interessanti emersi dal questionario:
-  Credenziale: il 91,6% è partito o partirà con la credenziale.
-  Testimonium: l’81,6% lo ha richiesto, o lo richiederà, a Montecassino.
-  Sesso: il 62,5% dei pellegrini è maschio contro un 37,5% delle femmine.
-  Titolo di studio: il 46,2% ha conseguito una laurea, il 41,1% ha il diploma superiore, il 12,1% ha la licenza media inferiore. Dunque chi sceglie di percorrere il Cammino di San Benedetto ha un profilo culturale piuttosto elevato, con buona capacità di spesa.
PER CONCLUDERE

Per concludere: ho cercato di  far riflettere su alcuni elementi replicabili nello sviluppo dei Cammini in Italia.

Anche nell'incontro di Canneto Pavese del 13 aprile organizzato dalla Scuola di Narrazione Territoriale l'intenso confronto che si è sviluppo ha mostrato  quanto gli interlocutori sia stati interessanti a trare, da questa esperienza, spunti  per la valorizzazione dei cammini dell'Appenino di Lombardia. La via del sale, la via degli Abati, la via di San Colombano che appena più a valle si incrocianon con la via Francigena e la via di San Michele, la via di san Martino. Non si dimentichi  tuttavia che l'ingrediente fondamentale della “ricetta” che ho cercato di trasmettere non funziona se alla base non c’è una fede generosa nel progetto, una capacità di fare squadra, di trasformare il tutto in un'esperienza capace di emozionare, collegare, risuonare dentro se stessi e nel rapporto con la comunità. Poi tutto il resto, anche i risultati concreti, sul piano economico e produttivo, vengono di conseguenza.  Tanto più significativi quanto più sanno convivere con la cultura dell'ospitalità, del dono, della gratuità.
Quindi, per concludere, un caloroso in bocca al lupo ai cammini dell'Appennino di Lombardia, a chi li sta promuovendo e a chi le percorre, oggi o negli anni a venire.


LE FOTO UTILIZZATE PER ILLUSTRARE QUESTO CONTRIBUTO SONO DI SIMONE FRIGNANI AL QUALE VA IL GRAZIE PIU' CORDIALE DEL BLOG DELLA SCUOLA DI NARRAZIONE TERRITORIALE