giovedì 10 maggio 2018

SCUOLA DI NARRAZIONE TERRITORIALE: PAESAGGIO, UNA PROVOCAZIONE



SPUNTI PER I PARTECIPANTI ALLA SNT:
PAESAGGIO, LA PROVOCAZIONE DI PIERO CAMPORESI

(cfr. dalla prefazione di Giorgio Boatti a "Le belle contrade" di Piero Camporesi, Saggiatore editore 2017


"...Nelle vite felici gli appuntamenti imperdibili non hanno fretta. Si prendono tutto il tempo necessario per andare a compimento e quindi far scaturire con convinzione i frutti dell'avvenuto incontro.
Questo è quanto accade nel lavoro di Camporesi che di anno in anno si amplia  in un  fiorire di opere che, pattugliando sempre i temi della vita materiale, dunque della corporeità ma anche delle costruzioni culturali e dell'immaginario popolare che lungo i secoli vi si protendono e vi si affondano, alla fine non può non intrecciare i suoi passi con quelli di chi, tra la fine del Quattrocento e il Cinquecento, va in ricognizione lungo la penisola italiana e cerca di darne descrizione in testi e trattati, ovviamente sconosciuti ai più ma che non sfuggono alle reti gettate dallo studioso bolognese.
"Le belle contrade" è il libro, pubblicato nel 1992, che Camporesi dedica con provocatoria intelligenza al tema del paesaggio italiano.
Un grande geografo come Lucio Gambi dovrà ammettere che il concetto di paesaggio utilizzato da Camporesi 
piero camporesi (1926-1997) nel suo studio bolognese
in questa sua opera, ma anche in altri lavori, è spiazzante, anzi "non è inquadrabile  nelle architetture semantiche in cui si dispongono da una quarantina di anni in qua i concetti di paesaggio e i problemi che essi sollevano".
Il riferimento ai quattro decenni buttato lì da Gambi non è casuale, almeno per quanto riguarda il contesto italiano. E' solo dal dopoguerra, con l'inserimento del tema del paesaggio e della sua tutela nella Costituzione italiana (art. 9, "La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione"), che la questione è uscita da ristretti ambiti disciplinari investendo non solo la politica e le sue rappresentanze ma anche i cittadini e le forme associative - si pensi ad Italia Nostra - sorte proprio a tutela del paesaggio.
Proprio questa modalità di affacciarsi sul più vasto orizzonte della comunità nazionale della questione del paesaggio ha condizionato la rigidità del successivo confronto. Pesavano  gli anni durante i quali lo sforzo della ricostruzione nazionale e il forsennato dinamismo produttivo, confluito nel boom economico, si erano preoccupati - più che di tutelare passate eredità paesaggistiche - di non essere intralciati da vincoli di Soprintendenze o dalle denunce puntuali e coraggiose dei pochi che, come Antonio Cederna (1921-1996), nei loro saggi e nei loro articoli, coglievano gli abusi in corso, le cancellazioni di aree pregiate e dunque dei segni di un passato iscritti sul nostro territorio.
Paradossalmente proprio il rinserrarsi difensivo del concetto di paesaggio all'interno di una ridotta di concetti estetici proposti come scontati e assoluti, dove anche il tempo e l'agire umano sembravano doversi arrestare in nome di valori più duraturi ma accessibili a pochi, rendeva faticoso il dialogo. Soprattutto in un Paese  dove, anche all'interno della stessa classe dirigente, era problematica  la comprensione e la condivisione di sacrosante battaglie contro devastazioni e abusi, così facili e dunque diffusi, in un Paese come l'Italia dove non c'è angolo in cui storia e natura, arte e ambiente, non procedano gomito a gomito.
Nei primi anni Sessanta un libro 
come la "Storia del paesaggio agrario" di Emilio Sereni, mobilitando lo sguardo dello storico, dell'economista e dell'agronomo, riusciva - pur facendo continuo riferimento al riscontro visivo, ed estetico del paesaggio elaborato nel corso dei secoli dalla produzione artistica  - a liberare, almeno in parte, il concetto di paesaggio da questa sorta di "ibernazione" elitaria.
Però erano state, di lì a poco, soprattutto le riflessioni di una nuova generazione di architetti, di urbanisti, di geografi, a portare il concetto di paesaggio nel presente, nella vita quotidiana delle comunità.
 Con "Antropologia del paesaggio" (1974) del geografo Eugenio Turri (1927-2005) emerge l'esigenza di quella "lunga marcia verso la conquista del reale", come la definisce nelle prime pagine de "Le belle contrade" Camporesi, che spinge per una visione integrale del paesaggio. Dunque non più solo incontro tra bellezza dei luoghi e proporzioni e colori e forme di inserimenti dovuti all'intervento umano ma paesaggio come "convergenza sinergica tra operosità creativa e visualizzazione delle realtà".

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