Andare per luoghi è inciampare in storie
che chiedono di essere raccontate. E ogni
territorio è lo scrigno che le contiene.
Per trovarne una, imprevedibile, basta ad
esempio farsi una bicicletta oltre il ponte di barche di Bereguardo, superare
Parasacco e addentrarsi in quel mosaico di campi, boschi e corsi d'acqua che
compongono la valle del Ticino sotto Borgo San Siro.
Pedalando si scivola accanto a campi
coltivati a perdita d'occhio - verde smeraldino le risaie. Dorate le distese di
grano ormai ben maturo.
E nello scuro del bosco trilli, fischi,
gorgheggi, cinguettii. Compongono una partitura in stereofonia da far
concorrenza a Mozart.
La strada - tre macchine incontrate in due
ore - procede da una cascina all'altra, la Magnona e la Beccaria, la Torricella
e la Durazzina, tutte silenziose.
Porte chiuse. Finestre sbarrate.
Disabitate.
A cavallo della roggia Castellana c'è, da
secoli, la cascina dei Mulini. Dietro
sta la cascina Vignazza. E qui due lapidi, apposte da quei benemeriti del
Comune di San Siro, porgono una storia che meriterebbe un romanzo, un film.
A Vignazza, nel 1943, seconda guerra
mondiale, c'era un "Kriegsgefangenen",
un campo di prigionia per soldati inglesi catturati dai tedeschi. Un centinaio
e nell'estate aiutano le mondine in risaia, i braccianti (gli
"obbligati" nel dialetto locale) nel lavoro dei campi. Finita la
giornata dormono nel vecchio deposito che della cascina ormai deserta.
Desmond Jones è uno dei prigionieri inglesi.
Partite le mondine, finita la stagione del riso, Desmond decide che è tempo di partire.
Fugge.
Lascia al comandante tedesco una lettera in cui
si scusa ma, spiega, deve proprio
accomiatarsi dal "Kriegsgefangenen". Urgentemente.
E' atteso da Edith, la sua fidanzata che
l'aspetta in Inghilterra. Le ha promesso di sposarla entro l'anno. Una promessa
è una promessa e va mantenuta, parola di soldato.
In sessanta giorni - camminando per sentieri
fuori mano, dormendo la notte - attraversa a piedi tutta la penisola, seguendo
la linea degli appennini.
Viene rifocillato dagli abitanti di quella
povera Italia in guerra ma che, nella sua gente, non rinuncia ad avere cuore.
Anche verso il nemico. Poiché conosce ancora
la misericordia e le sue opere - sfamare l'affamato, accogliere lo straniero,
per esempio.
Il soldato Jones arriva a dicembre sulla linea
del Volturno, allo schieramento alleato. Prima che l'anno finisca i suoi
generali lo spediscono in Inghilterra, a mantenere la promessa fatta a Edith.
Finita la guerra Desmond Jones costituirà
l'Escape Club che riunisce tutti i soldati inglesi fatti prigionieri durante la
"campagna d'Italia" e che sono riusciti a scappare. Sopravvivendo
alla fame, al freddo, grazie all'aiuto della popolazione locale. Prima di
morire viene a Borgo San Siro, per rivedere la cascina Vignazza e per
ringraziare. Per ricordare a tutti di non dimenticare mai di essere umani.
Altri tempi? Forse. Ma stanno dentro una storia
che è nostra e continua a snodarsi. Perché - vedete - quella cascina Vignazza
che ce la porge, appartiene, come tutte quelle cascine abbandonate e in rovina che
l'attorniano, all'Ospitale San Matteo fondato, 570 anni fa, da fra' Domenico da
Catalogna.
Derivano da una donazione
all'ospedale di qualcosa come 11.000
pertiche effettuata da parte dei coniugi Beccaria, proprietari di quel
feudo. Un dono che consente al San
Matteo di crescere, di volare sulle ali dell'"effetto san Matteo".
Per chi non lo sapesse l' "effetto san Matteo" è un
paradigma ben conosciuto dagli scienziati sociali. Come ha spiegato il sociologo Robert K. Merton consiste nel fatto
che chi è beneficiato da consistenti vantaggi iniziali è destinato ad incrementarli e in modo significativo.
L'"effetto san Matteo" funziona
però anche al contrario. Proprio come afferma la pagina del vangelo di Matteo
da cui scaturisce: "A chiunque ha, sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a
chi non ha, sarà tolto anche quello che ha".
Forse è tempo che Pavia, le sue comunità
territoriali, e anche il venerabile Ospitale San Matteo, ora approdato al 2019,
facciano un pensierino per capire a che punto sono quanto ad "effetto San
Matteo".
Meritano ancora la sovrabbondanza?
O toccherà loro la penuria che colpisce chi, non
sapendo di avere e molto, alla fine non avrà più nulla?
Siamo consapevoli tutti che il San Matteo quanto
a cura e ricerca è un riferimento fondamentale.
Inoltre è la più vasta azienda provinciale
per fatturato e dipendenti. Ma forse è meglio non dimenticare che è altro
ancora.
E' uno scrigno irrinunciabile di memorie
comuni.
E' un serbatoio inesauribile di storie,
sbocciate dentro e fuori i suoi reparti.
Tutte significative nel fare di questa
comunità quella che è. E che forse sarà.
Per questo sarebbe tempo di valorizzarle e
di raccoglierle, a cominciare dalle testimonianze e dai ricordi di chi ci ha
lavorato per un'intera vita.
Un impegno ampio e di lungo termine, certo.
Da far confluire in un ARCHIVIO DELLA
MEMORIA E DELLA NARRAZIONE che faccia capo all'OSPEDALE SAN MATTEO e che sappia
dialogare - sul passato, ma anche sul presente e sul futuro - con tutta la sua
comunità territoriale di riferimento.
Un ARCHIVIO DELLA MEMORIA E DELLA
NARRAZIONE DEL SAN MATTEO: un adempimento che sia anche un passaggio di
consegne tra generazioni. E un farsi carico della memoria delle persone e dei
luoghi che scandiscono una storia secolare.
Rinunciarvi significherebbe lasciare che
l'amnesia prevalga.
Portando alla malora non solo cascine ma memorie
e storie.
Come quella del soldato Jones, ad esempio.
Custodita tra le vecchie mura della
Vignazza e lo scorrere della roggia Castellana.
Nessun commento:
Posta un commento