lunedì 27 maggio 2019

ANDAR PER TERRITORI: 10 istruzioni per narrarli


ANDAR PER TERRITORI: 10 ISTRUZIONI PER NARRARLI

di Paolo Patanè

(coautore con Monica Torri di "Gite fuoriporta nei dintorni di Milano Nord. 40 itinerari", ediciclo, maggio 2019)






Cosa significa narrare un territorio? Rispondere a questa domanda è l'obiettivo della SNT (Scuola di Narrazione Territoriale sorta, lo scorso anno, dal progetto OltrepoBiodiverso sviluppato -nell'ambito dell'azione AttivAree di Fondazione Cariplo - dalla Fondazione Sviluppo Oltrepò). 
Narrare un territorio ha molte risposte e, spesso,  le diverse soluzioni prendono forma in modalità concrete sulle quali questo blog - incrocio di esperienze di narrazioni ed azioni di sviluppo territoriale - non può non soffermarsi. 
Un interlocutore della SNT è stato, in questi giorni, Paolo Patanè, coautore con Monica Torri di "Gite fuoriporta nei dintorni di Milano Nord. 40 Itinerari, appena pubblicato da ediciclo. 
Paolo è laureato in lettere, giornalista free-lance e da molti anni opera nell'editoria turistica collaborando alla realizzazione di molteplici guide. Camminatore e ciclista è titolare di un'agenzia di servizi editoriali. E' già al lavoro sulla prossima guida che suggerirà "gite fuori porta" questa volta a sud di Milano. E, assicura, l'Appennino di Lombardia, dunque il nostro Oltrepò, non mancherà di fare, più volte, capolino tra le mete suggerite. 
Naturale dunque chiedere a Paolo qualcosa del suo metodo di lavoro.  Ovvero - abbiamo gli abbiamo domandato  - è possibile sintetizzare, per i nostri lettori, alcuni consigli per andare alla scoperta e narrare itinerari? 
ci proviamo?




"Volentieri.  Quelli che seguono sono alcuni semplici suggerimenti, niente di più. Qualche piccolo trucco del mestiere, appreso dopo tanto girovagare. Spero vi possa essere utile. Nella profonda convinzione che non serve andare lontano per scoprire la bellezza. Ecco dunque, in 10 punti, le istruzioni per narrar itinerari. 

Andarci da soli. Nella mia esperienza, per andare alla scoperta di un territorio credo sia meglio muoversi da soli. Per potersi fermare, osservare, tornare, divagare, senza condizionamenti, senza distrazioni. Per potere sentire i profumi, ascoltare lo scorrere delle acque, il canto dei grilli, lo scricchiolio delle foglie sotto le scarpe.
Per fermarsi, quando si ha voglia di farlo, per poi rimettersi in cammino. Per decidere quando si vuole cambiare direzione. Per non perdersi i dettagli, i particolari, spesso così nascosti ma così preziosi… Poi è bello tornarci in compagnia, con gli amici, con un gruppo, con la famiglia, ma quella è un’altra cosa. 

Lenti, senza fretta. Muovetevi con lentezza. A piedi o in bicicletta. Ogni tanto abbandonate i sentieri principali, lasciate le vie più battute per quelle secondarie, seguite le divagazioni che vi si presentano lungo il percorso. Lasciatevi guidare da curiosità e istinto. Non datevi tabelle di marcia e orari troppo rigidi, troppo vincolanti. Rallentate e mettetevi in ascolto. Se dovete raccontare un territorio, lasciate che sia lui a parlare. 

Gli incontri.Parlate con le persone, ascoltate i loro racconti, seguite le loro indicazioni. Più ci si allontana dalle città, più le persone hanno voglia e tempo per raccontare. Osti, contadini, monaci, viandanti, bambini, anziani. Le loro storie sono preziose. Sono tesori che non si trovano in nessun libro.Storie antiche, storie di vite, lontane o recenti. Spesso sono questi racconti che, a distanza di tempo, ci rimangono più impressi.
E fatevi dare indicazioni e consigli da chi in quei luoghi vive. Scoprirete cose che non si trovano sulle guide. 

Luoghi insoliti. Cercate i luoghi insoliti, i posti nascosti, magari difficilmente accessibili. Cercate cascine o piccoli borghi abbandonati, pievi, antichi opifici, rogge, conche, percorsi nascosti e sentieri poco battuti... Le alternanze di popoli e dominatori che si sono succeduti nelle nostre montagne, valli e pianure hanno lasciato, stratificati nel tempo, tanti segni.
Quante cose si possono leggere, ad esempio, in un piccolo cimitero di campagna? I volti, i nomi, le guerre, la Resistenza… Per fare un esempio, il cimitero di Crespi d’Adda, con il suo mausoleo costruito da Moretti, lo stesso progettista della vicina centrale Taccani, ci parla di architetture eclettiche, di archeologia industriale, di rapporto stretto tra architettura e ambiente. Le lapidi dei capi officina, con epitaffi in cui si celebrano le virtù e l’operosità del defunto, sono un forte richiamo ai valori su cui Crespi fu fondata. E la grande distesa di piccole croci bianche testimonia quanto fosse spaventosamente alta, meno di un secolo fa la mortalità infantile. 



Le cartine geografiche. Usatele, e anche più di una. Smartphone e App sono oramai insostituibili per orientarci e per tracciare i nostri percorsi. E spesso il tracciato gps è fondamentale per tracciare e poi ricostruire i nostri percorsi, anche a distanza di tempo. Sempre più spesso le tracce vengono rese scaricabili su Web, divenendo uno strumento prezioso per chi vuole orientarsi. Le cartine, però, sono un’altra cosa.

 Che piacere trovare su una vecchia cartina le annotazioni fatte qualche anno prima. 
Le cartine servono a programmare, a immaginare, a ricordare. Scrive Paolo Rumiz in Morimondo: “So dall’adolescenza che le mappe giuste non servono a orientarsi ma a sognare percorsi, e magari a ricordarli ad avventura conclusa”. E poi disegnatevele da voi, anche qualche semplice schizzo, con qualche annotazione, vi saranno utili a ricordare, a ripercorrere. Tutto torna utile.

I toponimi. Che ricchezza i toponimi italiani. Alcuni derivano da nomi che risalgono ai Celti, ai Romani, ai Longobardi. Molti sono essi stessi storie, tracce, e spesso le loro origini sono incerte, ipotetiche. Talvolta si rifanno ad antiche comunità, a luoghi scomparsi, a santi locali e misconosciuti. Cercateli sulle mappe, cercatene le origini, costruite una rete di collegamenti con altri toponimi simili. Che significa ad esempio Borgoratto Mormorolo, o Ruino? E quanta storia c’è in una Cicognola, Varzi? E vi siete mai chiesti che origine ha il nome Golferenzo, Volpara o - sempre per rimanere sull'Appennino di Lombardia - Bosmenso
o Bognassi? Toponimi, solitamente forniscono ottimi spunti, punti di partenza per una narrazione.

Fotografie, tante. Anche se pensate di non essere bravi, fate tante fotografie. Fotografare vi consente di osservare il paesaggio in un modo diverso, con angolature e inquadrature più rigorose. La fotografia è un linguaggio diverso ma complementare a quello della scrittura. Le immagini tornano sempre utili, anche solo per ricordare a distanza di tempo. E poi avere un buon archivio fotografico dei luoghi è importante, per articoli, presentazioni…. Con gli strumenti di oggi e un po’ di passione qualche bello scatto è alla portata di tutti.

Da una storia, un racconto. La narrazione di un territorio può partire anche da una piccola storia, un episodio, un dettaglio. Lo sapevate per esempio che ne Il Quarto Stato, il celebre dipinto di Pelizza da Volpedo, l’uomo al centro della scena non era un bracciante? 

O meglio, nel quadro lo è, certo. Ma chi fece da modello per il pittore era un farmacista, socialista e garibaldino. E che ci faceva nel quadro? E cosa c’entra Volpedo con tutto questo? Beh ve l’ho detto, si inizia da un dettaglio e poi… 

La lingua. Impossibile parlarne qui di stili, registri linguistici o simili. Dipende da dove si scrive, per chi si scrive. Credo però siano importanti le buone letture. Quasi impossibile dare consigli. Dai racconti dei gran tourin poi la scelta è infinita. A me piacciono molto Calvino e Pavese. Nei loro racconti o romanzi il paesaggio è un elemento fondamentale, che sia descritto nei dettagli o solo tratteggiato. Ho letto con grande passione, tra autori più recenti, Walter Bonatti, Paolo Rumiz, Giorgio Boatti, Ermanno Rigatti.
Spero di avere imparato qualcosa da ognuno di loro.


E se non vi piace? 
E se un luogo non vi piace? 
Se non è quello che vi aspettavate, se non vi emoziona e non vi incuriosisce? 
Meglio lasciare perdere o raccontare con sincerità quello che vedete? Dipende dai casi. 
Ma meglio essere sinceri, che tanto chi legge lo capisce. 
Mi è stato commissionato un articolo su un parco che era davvero pessimo, forse non avrebbe nemmeno dovuto essere un parco, ma lo era. Beh, parlarne male non si poteva. 
Ho preferito essere sincero con il committente e non scrivere niente. E, allo stesso tempo, onesto con chi mi avrebbe letto.



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